lunedì 3 marzo 2014

Legge Bancaria nazionale e Autonomie territoriali

SI PUO' FARE
punti di programma alternativo di un governo ombra virtuale


LEGGE BANCARIA NAZIONALE E AUTONOMIE TERRITORIALI


Può apparire strano l’inserimento di questo argomento in un Programma di Riforme e l’apparirvi  per di più abbinato a territorio nelle sue Autonomie. 
E’ infatti indubbio che la competenza sopra le Legislazione bancaria generale sia competenza stretta ed esclusiva dello Stato.

Il Programma beninteso non ha nessuna intenzione di interferire con competenze che risalgono agli Enti Locali nel credito nazionale tramite le Fondazioni le quali li vedano attivamente presenti al proprio interno; né di imporre ad alcuna Autonomia di alienare quei propri rapporti  indiretti così consistenti.

Tuttavia, l’aspetto relativo di Riforma della legge Bancaria nazionale recherà al riguardo due vincolanti prescrizioni di valenza unitaria nazionale per le Autonomie.

Le quali sembrano quantomeno opportune


- Ogni Autonomia di qualsiasi livello risultata detentrice di diritti di nomina all’interno di Fondazioni bancarie sarà tenuta ad attivare un suo < Fondo Cieco > del tutto simili a quelli che regolano altri conflitti di interesse di pubbliche funzioni.
Essa Autonomia rimarrà pertanto titolare dei propri diritti, ma cesserà di esercitarli in prima persona ed in forme che le siano influenzabili. 
L’Amministratore di ogni Fondo, il quale unificherà in sé tutti i diritti di rappresentanza di voto di quell’Autonomia nella Fondazione, verrà designato dalla Consob. Traendolo, questa ultima, con sorteggio da propri elenchi periodici di idonei accreditati con consenso Banca Italia.
- Ogni Autonomia dotata di simile competenza di nomina dovrà darne atto nel proprio Bilancio sia di quale Fondo Cieco la gestisce; sia in quale azienda bancaria o finanziaria si riverberi e tramite quale Fondazione lo si eserciti.

La norma ha una duplice esplicita intenzione

sterilizzare l’incidenza politica (discrezionalità di partiti) entro la gestione delle Fondazioni;

consentire ampia trasparenza all’elettore, ed all’investitore, sul  ruolo della singola Autonomia nel credito e nella finanza nazionale.

Appare infatti alquanto stravagante, anche a mero esempio eventuale solamente, che una Autonomia territoriale che rischi finanche l'insolvenza, o neghi alla propria Comunità che amministra anche Servizi essenziali, possa contemporaneamente anche risultare il detentore di quote decisive, o comunque prevalenti, nei diritti di nomina all'interno di Fondazioni che poi controllino direttamente le scelte di politica finanziaria, e non solo, di una banca.
Inoltre appare altrettanto incongruente che un cittadino possa sentire tuonare un proprio  Amministratore territoriale contro politiche creditizie bancarie, senza che il medesimo cittadino possa risultare consapevole che quell'amministratore suo medesimo concorre in modo decisivo, anche se intermediato, alle scelte gestionali creditizie della medesima banca e alla scelta del suo gruppo dirigente.
Ma soprattutto appare inammissibile, oltre che incongruo, che la Politica (Partiti), la quale smantellando il controllo pubblico che prima esercitava sulla larghissima prevalenza del Sistema Creditizio nazionale tramite l'IRI - il quale IRI possedeva appunto anche le principali banche italiane -  abbia presentato quel che ne conseguiva come Privatizzazione del Credito e delle Banche che l'esercitano. Mentre non si può non prendere atto che, tuttora, quella cosiddetta Privatizzazione risulti in prevalenza una Dissimulazione.
Dovendosi tuttora infatti constatare che la Politica (partiti per essa), NON risulta affatto avere dismesso il suo controllo decisivo sul Sistema Bancario nazionale, ma piuttosto che lo ha SOLO DISLOCATO quel suo medesimo potere decisivo di controllo politico.
In quanto, prima la Politica (partiti) lo esercitava quel proprio potere in modo manifesto e diretto a livello centrale nazionale; mentre ora risulta esercitarlo in modo decentrato, quanto dissimulato
Avendolo essa affidato, quel che risulta il suo medesimo improprio potere  politico interferente potenzialmente immutato, al livello periferico delle Autonomie e dei poteri di designazioni che tuttora quelle tra di esse detengono nelle Fondazioni di controllo bancarie.
Appare pertanto che solo così - anche uscendo in maniera credibile la politica dalla gestione presso le Fondazioni e in conseguenza presso il Sistema del Credito nazionale - che i potenziali conflitti interferenti politici partitici cessino effettivamente sul medesimo Sistema bancario nazionale.


La concreta definitiva fuoriuscita della politica (partiti) da suoi poteri impropri quanto decisivi ancora attuali all'interno del Sistema bancario nazionale, risulterà portatore pressoché automatico anche di un altro POSITIVO EFFETTO indotto.

Infatti, ad oggi, quote azionarie PRIVATE all'interno anche di grandi  banche d'interesse nazionalie non possono non risultare che quote Amiche ed ospiti dell'effettivo gestore che risulta ancora Partitico nella sua vera sostanza.
Col risultato, affatto positivo conseguente, che l'azionista Privato debba necessariamente accettare quel che gli passa, in scelte strategiche, ricavi, e suoi stessi investimenti eventuali nella banca medesima, il vero azionista di controllo che rimane la Politica (anche se apparsa ora intermediata).

E altrettanto in conseguenza, non vi sarà mai un azionariato Privato - rimanendo in questa attuale condizione di pubblico controllo dissimulato - che investa grandi risorse finanziarie proprie in quella medesima banca per poterne lecitamente avere la guida effettiva ed anche il potere d'indirizzo della medesima; mentre continuerà - l'azionariato privato - a sentirsi solo l'ospite ammesso alla quota di ricavo, e di controllo, che gli verrà concesso. Ma da altri.
E  il medesimo azionariato privato, ammesso nell'altrui controllo bancario ma in un contesto  che rimanesse come l'attuale, pare che potrebbe finanche rischiare di scoprirsi anche nella concreta opportunità necessitata di coltivare propri <buoni rapporti> con la Politica ove non voglia temere di vedersi estromesso dall'altrui beneficio e profitto che gli venisse solo a tal modo accordato.
E forse non è un caso che l'Italia ancora di oggi, a differenza di altri paesi soci anche essi della Ue, risulta non mostrare alcuna sua Banca rilevante dove il capitale tutto privato ne sia il controllore azionario di maggioranza; e ne sia anche il maggiore apportatore delle medesime capitalizzazioni necessarie al migliore funzionamento e reddito della banca medesima. 

E l'insieme di quanto precede, appare negli effetti anche solo potenziali che reca niente affatto positivo per la attività Bancaria stessa che vi risulti interessata, alla stessa politica creditizia d'insieme che interessa potenzialmente la nazione intera. 

Alla quale medesima nazione l'unica cosa che interessa rimane sue Banche solide e sane anche patrimonialmente, e in quanto tali buone prestatrici verso l'economia d'insieme alle condizioni date idonee. 

E dentro regole generali di condotte bancarie che queste si, compete alla Politica - nel governo e parlamento che esprime - di tracciare.



Quanto poi se si guardino le situazioni attuali sopra riferite nei dati che esse espongono, paiono in effetti evidenziare che l’assetto bancario nazionale primario risulta in realtà solo in apparenza multiplo. Risultandone altresì una prevalenza di incroci reciproci societari e di azionariato.

Ma essendo questi aspetti così strettamente delicati quanto tecnici, il Programma prevede al riguardo di conferire delega alla  BANCA D’ITALIA sui modi più idonei per arrivare a districarlo, dove serva, ed entro un quinquennio.

Senza che ne abbia a   soffrire la forza individuale bancaria e la lecita prevalenza di presenza nazionale all’interno della grande finanza e credito bancario comunitario come anche globale.






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