<<Sorpresa, postcomunisti addio
Il Pd si scopre democristiano>>
(immagine:www.wikipedia.org)
L’articolo prendeva le mosse dalla constatazione che il Pd si sta ritrovando a vedere battersi, per il controllo del partito e del governo, Letta e Renzi. E notava ancora l’articolista:
L’articolo prendeva le mosse dalla constatazione che il Pd si sta ritrovando a vedere battersi, per il controllo del partito e del governo, Letta e Renzi. E notava ancora l’articolista:
<<(…) Sul fatto che il campo degli aspiranti cavalli di razza del Pd ormai lo occupino loro, invece, molti dubbi non ce ne sono. Si, cavalli di razza, proprio come mezzo secolo fa, nel lessico democristiano d’epoca, furono definiti, si parva licet, Amintore Fanfani e Aldo Moro. Perché possiamo anche classificarli genericamente postdemocristiani (siamo tutti post qualcosa) ma resta il fatto che entrambi nel movimento giovanile dell’ultima Dc, e poi nel Partito popolare, hanno mosso i primi passi e si sono formati. E non nascondono né, tanto meno, rinnegano le loro origini. Anzi.(…)>>
Ebbene, queste considerazioni
altrui, consentivano l’emergere anche di altre riflessioni.
Vale a dire che un intero ciclo
di vita del partito prima Pci, poi Pds, poi Ds ed infine anche Pd, risulta
essersi definitivamente esaurito. Ed esaurito con un completo insuccesso, come
risulta ammettere anche la sua storica stessa classe dirigente di partito.
Questo ciclo pare poterlo
riassumere nel tentativo di fare del PCI post Urss il grande partito
socialdemocratico italiano. Agevolato in questo suo tentativo dalla occasione
irripetibile del vuoto di competitori creatiglisi con l’eliminazione politica
di Craxi.
Che questo fosse stato il
tentativo strategico lo avrebbe anche rivelato il fatto che quel medesimo
partito originario, il postPci, avrebbe accettato di pagare l’enorme prezzo di
continue scissioni alla sua sinistra mentre si avvicinava operativamente
all’area elettorale di centrosinistra.
L’emorragia elettorale
conseguente, e che si rivelerà pesante, avrebbe alfine indotto il postPci a
provare di fondersi in un unico partito, appunto il Pd, con quel che restava
della postDc risultata risparmiata da <Tangentopoli>.
Vale a dire che entrambi, postPci e postDc supersite, constatavano di non risultare in grado, nessuno di essi da solo, di ricomporre un perno autosufficiente alla gestione del governo italiano. E quindi, postPci, e postDc, convennero in un unico partito, appunto il Pd.
In una sorta di mini compromesso
storico, questa volta attuato prima nel comporre un medesimo partito e poi
nella gestione conseguente dello Stato.
Più o meno l’equivalente di
quello che in architettura definiscono l’arco gotico: l’unione di due debolezze
per farne una forza.
Ma chi era, di quella operazione politica, il socio di riferimento nel nuovo partito confederato Pd?
Non paiono esservi molti dubbi
che il socio di riferimento della nuova formazione Pd, si ritenesse quel che
restava del postPci.
Pare confermarlo il fatto che tutti i segretari del Pd, sino ad ora, infatti, sono stati espressi dal postPci. E nei nomi di Veltroni e Bersani.
Ma a livello elettorale i ruoli
sarebbero però risultati invertiti. Tra le componenti del Pd.
Infatti la sinistra postcomunista nelle sue varie anime comparse, nell’arco di venti anni, sarebbe giunta al governo esclusivamente dietro ad un post democristiano: Prodi.
Il che la diceva lunga sulla
composizione maggioritaria dell’elettorato italiano: solo un non post comunista
riusciva a garantire quella differenza in voti elettorali centristi che
facessero una maggioranza di governo. Dalema prima, anche se risultato fatto capo di
governo da un <pronunciamento> partitico interno a beneficio di una
enorme concessione miliare all’esterno, e poi Veltroni, avrebbero
irrimediabilmente dimostrato che il postPci non era in grado di raccogliere
elettoralmente un consenso sufficiente ad un capo di governo. Poiché il postPci
non riusciva ad allargare il proprio consenso al centro dell’elettorato
(saldamente presidiato soprattutto da Berlusconi), mentre la capacità di attrarre
elettorato sulla sua sinistra sarebbe emersa non espandibile.
Anzi, con l’ultimo governo Prodi,
il quale portava nella sua maggioranza di governo la sostanziale universalità
della sinistra a sinistra del postPci, la capacità attrattiva elettorale di
questa medesima area a sinistra si sarebbe per così dire disintegrata. Ne
avrebbe poi offerta riprova indiscutibile il fatto che, successivamente
all’ultimo governo Prodi, che attuava una politica economico sociale di destra
così massacrando la sua ala sinistra di governo, le forze post comuniste
aggregatisi a sinistra del futuro Pd, non sarebbero più riuscite a raccogliere
nemmeno i consensi loro bastanti per rimanere rappresentate in parlamento. E
così sarebbe rimasto sino a Sel, che però provvedeva a mimetizzare aderenti ed
ascendenze eventuali postPci per riuscire a tornare almeno essa in parlamento.
Ma giunti appunto al Pd, la componente che si riteneva di riferimento all’interno della nuova compagine politica, cioè il postPci, provava per la seconda volta di affermare una sua egemonia politica definitiva. Vale a dire quella sia sul partito che sul governo. Accadeva con Veltroni infatti, autorevole postPci, che però perdeva sia sfida elettorale di governo che poi, conseguentemente, la segreteria di partito.
Ci riprovava con Bersani. Il quale riuniva infatti anche egli in sé, segreteria e candidatura elettorale a capo di governo. E con un esito infausto quanto rovinoso politicamente per la sua stessa area di partito.
Bersani infatti, sarebbe
risultato, come candidato premier, perdere una partita elettorale che ai più
sembrava una di quelle già vinte a
tavolino.
Bersani, infatti, apparentemente
aveva tutto per vincere: una legge elettorale truccata ancora in vigore che
concede di prendersi il parlamento con qualunque risultato elettorale, anche da
minoranza, purché anche di un solo punto superiore all’avversario. Un partito,
il suo, Pd, quasi interamente controllato.
Eppure, Bersani, autorevole postPci, avrebbe poi perso rovinosamente le elezioni politiche del 2013. Perché?
Eppure, Bersani, autorevole postPci, avrebbe poi perso rovinosamente le elezioni politiche del 2013. Perché?
Perché il quadro elettorale
italiano era intanto profondamente mutato.
La scelta governativa recessiva del Pd, attuata assieme al Pdl berlsconiano, e concretizzata nel governo socialmente autoritario di Monti, avrebbe spinto all’astensione una larghissima fetta dell’elettorato italiano potenziale. Di questo Berlusconi se ne sarebbe rivelato consapevole in campagna elettorale. Infatti lui, quella campagna elettorale, l’avrebbe condotta tutta contro il Monti di governo e le sue politiche fiscali. Riuscendo in qualche modo a contenere la valanga di dissenso del suo stesso elettorato di riferimento.
Bersani invece, forse fiducioso
delle capacità <salvifiche> di una legge elettorale criminosa, si
posizionava in campagna elettorale come l’ultimo dei Moicani; vale a dire il
sostanziale garante e sodale della politica economica e sociale governativa già
di Monti. Quantomeno era quel che risultava ad osservarlo.
Il resto venne da solo, e quasi da manuale.
L’area elettorale di centro e dell’astensione risultò inaccessibile alla offerta politica di Bersani; ed alla sua <sinistra> anche se per mera autodefinizione che sinistra in questo caso appare una mera finzione appunto elettorale, si sarebbe formato un grosso partito del 25% che aveva a suo programma unico il dissenso da chiunque governasse dei <vecchi marpioni>.
Scopertosi preso a tenaglia tra
un centro a lui indifferente quando apertamente non ostile e una sinistra di
protesta che saltava il Pd e l’intera area delle sue storiche alleanze, Bersani
avrebbe finito per dover alzare bandiera bianca ed arrendersi, dopo che da
candidato premier, anche da Segretario del Pd. Vittima di una catastrofe
politica, che non era, a ben vedere, tutta farina solo del suo sacco.
Perché nella partita di Bersani,
sarebbe risultato aver giocato un ruolo decisivo di <dominus> avverso proprio
un titolatissimo postPci che era intanto potuto ascendere al soglio laico più
alto: la presidenza della repubblica.
Quel medesimo presidente della repubblica che risulta si era intanto cucinato il governo Berlusconi allora in carica (2011); si era fabbricato un capo suo di governo elevato per la bisogna a senatore a vita (Monti); e aveva imbrigliato il povero Bersani preelezioni a fare la balia alle misure governative di Monti anche in campagna elettorale.
Ma soprattutto, quando Bersani provò a metter all’incasso qualcosa di quel suo rovinoso coatto investimento politico elettorale, chiedendo di poter tentare la formazione di un suo governo anche senza partire da una maggioranza parlamentare certa, il <collega> postcomunista trovatisi al massimo livello lo bloccò con un plateale <giammai lo consento>. E così il Bersani trovatosi sendwich tra presidente della repubblica ed un provvidenziale Grillo/M5S, finì come doveva finire: mangiato. E quindi, dimissionato. Da tutto.
Invero, non è che Bersani si
arrese ai primi ostacoli. Cercò in ogni modo un varco, per provare di formare
un suo governo. Ma la <muraglia> altrui non gli concesse scampo. Provò
invero anche persino a cambiare il tavolo da gioco: rieleggiamo prima il capo
dello Stato e poi facciamo il governo. E come candidati propose due pesi
massimi postdemocristiani del Pd: prima Marini, e poi Prodi.
Come a dire alle componenti anche
del suo Pd: prendete la presidenza della Repubblica per voi, e lasciatemi il
governo.
Niente da fare, che il sandwich
non venne mollato: il Pd stesso si incaricò infatti di autoaffondare
platealmente i suoi stessi due potenziali vincenti candidati.
Credo che sia stato a quel punto che Bersani si sia reso totalmente conto che l’avevano irrimediabilmente fregato: il suo stesso partito rifiutava due suoi propri candidati alla presidenza della repubblica pur di farlo fuori dall’area tendenziale di capo del governo.
Forse una via d’uscita teorica
Bersani l’avrebbe avuta ancora. Ma molto astratta, invero. Cioè lasciar passare
alla presidenza della repubblica il candidato postPci anche esso che intanto si
era adottato come suo Grillo/M5S.
Ma questo Bersani, non lo osò. Perché riteneva che il suo Pd, dopo aver affondato platealmente Marini e Prodi,
avrebbe fatto poi anche scempio del candidato condiviso con Grillo? Perché non
osò, per vincoli mai detti anche suoi, a demolire dalle fondamenta l’assetto
preesistente nei pubblici poteri che di nome comunque vedeva ancora all’apice
massimo un postPci di rango?
Come che fosse, non lo tentò.
E si adattò, per salvare il salvabile, almeno a suo vedere, di andare da chi già era all’apice, e che gli aveva dato scacco matto come scelte politiche, a chiedergli nei fatti: se volessi restare nell’incarico, ti rieleggiamo con lo stesso schieramento politico del tuo governo già di Monti, e poi, io tolgo il disturbo anche nel partito…
E così fu, infatti.
Riconfermato il dominus, che di sicuro si sacrificava a farlo, mentre osservava una vittoria totale sull’unico avversario politico che forse aveva incontrato nel suo settennato.
Un po’ come se Moro avesse perso
nel suo altolà dato a Segni, e si fosse quindi lui dimesso; mentre nella realtà
di allora risulta che accadde esattamente il contrario.
Perché ci siamo dilungati
alquanto nel ricomporre la ultima vicenda politica di Bersani segretario Pd e
loro candidato premier?
Perché è da quel massacro altrui politico, riuscito, che discende tutto intero l’oggi nostrano: politico e governativo.
Con Bersani risulta infatti messa
in minoranza politica e strategica l’area postPci nel Pd; e contemporaneamente
si aprivano le praterie governative e del partito all’area postDc del medesimo
Pd. Un ribaltone ed una rivincita storica quella che si sarebbe ora proposta.
E che sintetizzava bene, appunto, il titolo dell’articolo preso qui a spunto di riferimento:
<<Sorpresa, postcomunisti addio
Il Pd si scopre democristiano>>
Ed i bello è che risulta, anche
veritiero.
Con il più autorevole dei postPci
istituzionali che avrebbe in modi risultati decisivi archiviato i postPci di
partito e di governo.
Ma di nuovo, perché?
Per cercare possibili risposte pare si debbano fare alcuni passi indietro prima di ritornare all’oggi.
Avendo presente, magari, quello che risulta sostenesse un grande giallista come Edgar Allan Poe: gli indizi si nascondono sotto gli occhi di tutti.
Dunque anche noi proviamo, e
proprio con i possibili indizi risultati sotto gli occhi di noi tutti.
Ricorderemo, allora, che quando
il governo ultimo Berlusconi sostanzialmente si arrese all’attacco finanziario
esterno verso il debito pubblico nazionale, si insediò a capo del governo il
fiduciario quirinalizio Mario Monti.
Monti risultò subito avere dei compiti ufficiali:
Monti risultò subito avere dei compiti ufficiali:
- stabilizzare il circolante pubblico italiano tramite una raffica di tasse di ogni tipo e dose;
- attuare l’impegno assunto dall’Italia di compensare l’aiuto ricevuto in sede Ue (Bce) al debito pubblico Italiano con una volontaria recessione pluriennale (che sarebbe equivalsa ad una pesante valutazione di potere d’acquisto dell’euro interno nazionale);
Ma Monti risulterà avere assunto
anche dei suoi compiti non detti. Tra questi, risulta oramai piuttosto certo,
anche quello di sottrarre il suo partito a Berlusconi, così favorendone la
fuoriuscita di quest’ultimo dalla scena politica italiana. Congetture? Affatto.
Tutti noi probabilmente
ricordiamo la plateale accoglienza paterna verso Monti alla riunione del Pp
europeo a Bruxelles, dove lo stesso Monti si vedeva indicato come potenziale
membro prediletto. Medesimo partito popolare europeo del quale, però, faceva già
parte Berlusconi con il suo Pdl; e certo ricorderemo l’ira e il fuoco di fila
berlusconiano sull’evento. E le contemporanee accuse alla Merkel ed altri di
interferire con la vita politica italiana.
Fatto sta che Monti risulta averci provato in vari modi a soppiantare Berlusconi presso il suo stesso partito; prima sperando neanche tanto nascostamente che dal gruppo parlamentare si staccasse un’area sufficiente a fare maggioranza di governo con lui anche senza Berlusconi.
Poi, quando il progetto si rivelò fallace, Monti provò a sottrarre a Berlusconi direttamente parte dell’elettorato facendosi appunto un suo partito: Scelta Civica. Consentendoci tra l’altro così, e per inciso, di assistere all’indecenza istituzionale di un senatore a vita che si fa capopartito in campagna elettorale per contendere i voti ai suoi stessi alleati di governo.
Come finì, si sa. Le elezioni
mostrarono che, almeno sul piano elettorale, tra Monti e Berlusconi non c’è
partita. Vinse infatti il secondo la loro personalissima disfida. E fu Monti a
uscire dalla prima fila.
Ma adesso andiamo nuovamente
all’oggi.
Chi era ad aver insediato Monti a capo di governo, ad averne appoggiato tutte le decisioni recessive (per inciso quasi tutte concesse adottate per decreto legge)? Appare erroneo che a questa domanda eventuale risponda la casella del capo dello Stato allora ed ancor oggi in carica?
Pare proprio che non risulti
errato.
Ed allora, visto che la politica nazionale intenzionalmente recessiva prosegue tutt’ora, appare arbitrario che possa risultare proprio il capo dello Stato il vero garante anche verso l’esterno che si sarebbe proseguiti in quella stessa direzione anche dopo le elezioni e la caduta di Monti?
Se così fosse, e così risulta,
allora si potrebbe comprendere anche molto di più della sventura politica
toccata a Bersani dopo le elezioni. Bersani infatti, nonostante tutto, non
avrebbe probabilmente garantito la pedissequa prosecuzione della politica
recessiva già di Monti; perché Bersani, seppure postPci di sicuro anche egli, era
tuttavia un postPci alla Emiliana. Per così dire. Cioè di quella vulgata Pci
che, in Emilia e Romagna dove si cimentava al governo territoriale, aveva
saputo mostrarsi ben capace di conciliare l’appartenenza ideologica con
l’economia di mercato e lo sviluppo. Il lavoro con l’impresa.
Bersani capo di governo, avrebbe
dunque probabilmente interrotto la spinta recessiva volontaria già di Monti.
Ma Bersani, non arriverà mai a presiedere il governo.
Ma Bersani, non arriverà mai a presiedere il governo.
E chi ci è apparso di nuovo come il vero garante della continuità di scelte economiche italiane risultate contratte con la Ue già al tempo di Monti? Pare proprio che risultasse l’apice istituzionale italiano. Guarda caso, il medesimo che, mentre Bersani cade, si vedrà rieletto, contro qualunque buon sano criterio istituzionale, ad un secondo settennato.
Il garante della politica
economica italiana si vede confermato.
E insedierà infatti un governo fotocopia, sul piano economico finanziario e della maggioranza politica a sostenerlo, a quello già di Monti; nonostante i piccoli accorgimenti mediatici e di astuzia nel consenso del nuovo capo di governo e che mancarono totalmente a Monti decretandone la fine politica sua e del suo stesso governo.
Abbiamo infatti il governo Letta a maggioranza Pd+Pdl+Monti (esattamente come il precedente); abbiamo anche il 2013 con recessione volontaria nostra che rimane del -1,8%; abbiamo disoccupazione galoppante con quella giovanile oramai al 40%. Stiamo dunque mantenendo la scelta recessiva volontaria precedente. Grazie a chi risulta il vero garante che è stato rieletto al vertice, e grazie al governo che s’è di nuovo propiziato coerente.
Ma scegliere di mantenere una
politica recessiva nazionale, avendone un proprio esponente a capo del governo
come è Letta Enrico, cosa vuol dire e comporta da parte del Pd che lo esprime?
Pare voglia dire che il Pd,
facendosi esso direttamente gestore di questa continuità di predominio della
rendita parassita italiana anche attuale, e che vuol dire svalutazione ancora
in corso dei redditi fissi e pensioni, e che vuol dire disoccupazione dilagante
ulteriore e chiusure ulteriori di imprese senza fine, probabilmente in quello stesso
momento rinuncia ad ogni aspettativa di allargare il proprio consenso alla sua
sinistra.
Infatti, chi mai con inclinazione di progresso equo, potrebbe sostenere un partito recessivo che consolida la rendita parassita a scapito del Lavoro e dello sviluppo?
Le conseguenze, allora, appaiono
del tutto naturali sul fronte anche interno del Pd.
Archiviata come impraticabile
ogni idea di riespandersi elettoralmente ala sua sinistra, al Pd, per non
estinguersi, all’interno della vera politica che attua anche dal governo, non
resta altra scelta che attrezzarsi per provare a sfondare sull’altro di lato,
al centro destra.
Ecco che allora appare starci tutto che, all’interno del Pd attuale, la componente postPci ceda il passo sia alla guida del governo come della sua segreteria ai postDc. Il postPci non risulta infatti potenzialmente di alcuna utilità elettorale, nel momento in cui il partito fa sua la piena strategia di tutelare la rendita nazionale prevalente. Servono forze che provino a sfondare nell’unica direzione apparsa possibile ed anche naturale: servono, appunto, i postDc del Pd per provare a raccogliere il nuovo sperato consenso di destra elettorale.
Ecco così, che dopo Letta,
risulta scaldare i motori anche Renzi.
Perché Renzi?
Perché nella operazione di
trasloco elettorale verso altrui lidi che il Pd adesso si propone, ci sta del
tutto bene anche un segretario che provi a fare il clone di un originale
altrui.
Cosicché lo scenario potenziale
prescelto oramai appare:
Letta fa il Monti anche se assai più navigato politicamente;
Renzi fa, o almeno ci prova, il neoBerlusconi;
Il partito va tutto a destra con la politica che attua anche al governo, e la sua dirigenza anche essa si adegua a nuove proposte e sperato anche nuovo elettorato.
Tutto bene? Al di là della
condivisione o meno d’intenzioni.
Mica tanto bene.
A presidiare l’area elettorale di centro destra risulta esservi ancora adesso Berlusconi con un suo partito; che si chiami Pdl o Forza Italia non incide. E’ lui, come fisica persona, che presidia ancora efficacemente quell’area dell’elettorato.
Un bel problema, per chi voglia, ora, sperare di espandersi proprio nella medesima area.
Monti vi si era già rotto le ossa a provare a sostituirlo. E non pare che al Pd toccherebbe migliore sorte a ritentarlo, tanto più che i sondaggi danno <l’ostacolo> in ottima salute quantomeno con la legge elettorale vigente.
Allora che si fa?
Si può tornare al mandato già non detto
a Monti: eliminare l’ostacolo elettorale.
Ma come si fa, a farlo, se il
medesimo è anche il proprio alleato di governo?
Si fa, si fa, quando si dice che nascere fortunati possa essere anche meglio che nascere ricchi….
Proprio adesso la giustizia condanna
in via definitiva il capo dell’alleato Pdl. In un paese nomale, i partiti
avversari, si lancerebbero sul colpito con programmi alternativi a ricercarne
di raccoglierne consenso. Ma non qui. Qui, si strologa di tenerci alleato il
partito del condannato e vedere eliminato il solo capo di quel medesimo
partito, che poi il suo elettorato ce lo mangiamo una volta eliminato il capo….
Come si fa, però, ad eliminare un capo condannato, se non si è certi che di per sé la sola condanna gli toglierà voti?
Ci pensa Severino. O meglio la sua legge varata con Monti: un condannato, decade da parlamentare. Ergo, nel nostro caso, decade da senatore.
Ma quale follia concedere che
qualcuno possa essere espulso dal seggio Parlamentare per decisione di un altro
potere diverso, fosse anche colpevole.
La Ue ha l’immunità parlamentare nel suo Parlamento EUROPEO proprio per impedire un simile rischio anche solo potenziale. Ma noi, evidentemente, quando serve, siamo più Ue di Ue: dunque fuori dal parlamento il <delinquente> reietto.
E per inciso, questo movimento,
quando nel suo programma si è trovato a a trattare di giustizia, ha si previsto
che la giustizia potesse indagare e anche se del caso procedere verso qualunque
cittadino fosse anche parlamentare. Ma ponendovi una sola esclusione di potere
e a posteriori: anche in caso di condanna eventuale, nessun altro potere
avrebbe potuto infliggere decadenza di un suo membro che non fosse il
parlamento stesso.
E prevedendovi anche la garanzia
che la decadenza eventuale la potesse comminare solo una maggioranza assoluta
del parlamento: proprio con l’intento di scrupolo di evitare che maggioranze
semplici parlamentari potessero eliminare, tramite propri voti di decadenza,
gli stessi loro avversari politici del momento.
Questa era e rimane la posizione anche attuale, pur entro la facoltà libera ed indipendente della giustizia di indagare o procedere senza eccezione alcuna tra tutti i cittadini. Ma il seggio che viene da una elezione non si può decapitare per nessuna presunta altrui buona ragione. Quel potere elettivo viene direttamente dall’elettorato. Ed in assenza di maggioranze amplissime sarà solo l’elettorato a dover decidere se il condannato possa essere ancora il suo candidato di fiducia.
Questa era e rimane la posizione anche attuale, pur entro la facoltà libera ed indipendente della giustizia di indagare o procedere senza eccezione alcuna tra tutti i cittadini. Ma il seggio che viene da una elezione non si può decapitare per nessuna presunta altrui buona ragione. Quel potere elettivo viene direttamente dall’elettorato. Ed in assenza di maggioranze amplissime sarà solo l’elettorato a dover decidere se il condannato possa essere ancora il suo candidato di fiducia.
Perché i rischi potenziali, soprattutto prospettici, risultano enormi, a <giocherellare> con le decedente in parlamento. Poniamoci infatti, una domanda estrema: Mussolini, se avesse potuto far decadere Matteotti da parlamentare, l’avrebbe ugualmente fatto assassinare perché scomparisse da Montecitorio?
Ma adesso abbiamo, pare, una
fretta estrema di far decadere. Subito, all’istante. E che succederà mai se
accadesse foss’anche entro qualche mese? Condannato è, e condannato rimane; e
se danno elettorale gliene doveva venire l’ha già di certo ricevuto.
Certo, tutto cambierebbe, e si spiegherebbe anche, se fosse proprio quello l’elettorato altrui che speri che ti serva e che divenga meglio conquistabile.
Ma queste rimangono solo
congetture senza destinatari documentali, quindi lasciamole cadere.
Quello che resta, è che il Pd sta
guidando un governo che rimane nella scelta reazionaria economica e sociale
precedente; dunque si sposta in conseguenza a destra con tutto il suo assetto
dirigente, sia capo del governo che segretario eventuale. Dunque il postPci ora
risulta che non serve; e dunque, ora, pare molto più funzionale il postDc
interno.
Ma il partito Pd, ed il suo elettorato di progresso, che pure vi è non poco anche in esso, resisterà a una torsione di 180 gradi come questa? O si spezzerà lo stesso Pd, nel momento in cui si troverà sottoposto a quella prova estrema?
Il passato pare dare oroscopo
infausto. Infatti sino ad ora, ad ogni spinta verso la destra, si è staccato
per strada un corrispettivo pezzo di postPci. Questa volta sarà diverso? Auguri.
Si può invece intanto constatare
che, mentre tanti giornali si interrogano affranti di una Italia che potrebbe
ritrovarsi senza una sua destra, appare invece alquanto certo che si sta
trovando – l’Italia -senza sua rappresentanza proprio l’area del progresso equo
nel lavoro. E la torsione in corso del Pd, pare destinata a renderla sempre più
visibile e plateale questa grande carenza nella rappresentanza di tanta parte
della nazione vera.
Parte di nazione questa che non si identifica meccanicamente come sinistra o come destra, ma che vorrebbe lavorare coesa, e possibilmente prosperare. E che quindi sogna tuttora un governo, e un parlamento, che la sostenesse.
Qui ci fermiamo, evidentemente,
in questo tentativo di riflessione su quel che la politica italiana oggi
propone.
Ma una cosa invece vorremmo
ancora concederci sopra questo fuggi fuggi a decadere altrui in virtù di una
sentenza detta epocale. Ma siamo proprio sicuri che la sentenza stia proprio
bene? Siamo proprio sicuri? Ma proprio sicuri, sicuri che il contenitore….
tenga? Auguri.
Noi, non ci scommetteremmo, pur
nell’estremo rispetto ai redigenti. Sullo stato effettivo di salute complessivo
dell’involucro dell’atto.
E poi, che farebbero, nel caso,
si fa sempre per dire, autocollassasse il contenitore, quelli del
<corriamo> di Stato? una erme al Campidoglio per scusa e reintegro del
caso?
Ma su questi aspetti sensoriali, per così dire, ci riserviamo di tornarci meglio in seguito, se del caso.
Adelante, …ma con iuicio.
Che gran consiglio di saggezza da
un grande scrittore nostro del passato spesso invece spacciato come pensare
pavido…….
La politica fa politica con le
idee e i programmi propri che propone; e su questo solo cerca il consenso anche
elettorale. Quando scivola a cercare gli strumenti altrui, la politica già si è
persa ed arresa nel suo autonomo insindacabile compito di gestione e progetto.
Se poi - e questo sarebbe del
tutto lecito - la vicinanza politica ad un condannato appaia così ad altri
intollerabile, siano allora coerenti, ed escano immediatamente quegli stessi
disgustati subito essi dall’attuale maggioranza di governo. E infatti ci si
meraviglia che, in tanto disagio emerso, non l’abbiano ancora già fatto.
No, non lo faranno? Letta
presidente del governo risulta che invece adesso intima anche egli fuori il
reprobo capo del partito che mi sostiene al governo, ma nessuno tocchi questo
mio governo? E gli si affianca il coro delle baccanti nazionali, mediatiche e
non, a salmodiare che nessuno tocchi questo <prezioso> governo?
Allora siamo tornati al tentativo
già di Monti? Tenersi stretto governo, il partito alleato almeno in parte,
magari anche un pezzo dell’elettorato, previa epurazione parlamentare del solo
altrui capo alleato?
Troppa grazia…andare in paradiso in carrozza.
Troppa grazia…andare in paradiso in carrozza.
p.s.
non siamo ne siamo mai stati
nell’area Berlusconi in alcun modo; ma non ci piace affatto questa caccia
<all’untore> del momento apparsa così provvidenziale per coprire un
massacro sociale ed economico di governo tuttora in corso. E di cui nessuno parla
e si occupa efficacemente a contrastarlo e rimediarlo. Questo è quanto.
Alle tantissime connazionali e
connazionali ritrovatisi senza lavoro e senza reddito cosa gli offriamo? Ti
abbiamo cucinato in parlamento Berlusconi, non ti basta? Forse non gli basta,
quando osserva il piatto desolatamente vuoto ed ascolta magari figli che
piangono dall’inattesa immeritata miseria rimasta ancora senza visibili rimedi
concreti. SINO A QUANDO?
Nessun commento:
Posta un commento